Con il convegno Nuove economie e lavoro: sfide e opportunità, organizzato dal neonato Ufficio Studi, la Confsal raccoglie la sfida e lancia due nuovi strumenti: l’indennità di professionalizzazione e la fabbrica delle competenze
L’impatto delle nuove economie sta trasformando in modo drammatico il mondo del lavoro, le politiche di sviluppo, i modelli di crescita e i sistemi di welfare. Cambiano anche i ruoli degli attori principali, imprese, lavoratori e sindacato, così come si evolve il ruolo della rappresentanza.
Ma come si configura il lavoro oggi e come si crea nuova occupazione, mentre quella che abbiamo conosciuto finora sta declinando? Alcune risposte giungono dal convegno organizzato dalla Confsal sul tema Nuove economie e lavoro: sfide e opportunità.
Per Angelo Raffaele Margiotta, segretario generale Confsal, e per Mario Bozzo, presidente dell’Ufficio studi Confsal, si tratta di reclutare nuove energie e di promuovere nuove competenze. Oggi che il sistema è globalizzato e selettivo, è decisivo investire nell’istruzione e nella conoscenza. L’Italia, purtroppo, è in forte deficit di competenze e deve ritrovare la strada maestra che passa attraverso la serietà degli studi e un nuovo rapporto tra formazione e sbocchi professionali. “La nostra Confederazione – ha dichiaro Margiotta – sta proponendo due nuovi strumenti: l’indennità di professionalizzazione per i lavoratori e la Fabbrica delle competenze per meglio qualificare l’offerta occupazionale in base alle esigenze delle aziende”.
Anche per Tiziano Treu, presidente del Cnel, in questa situazione d’incertezza, la formazione è fondamentale e le competenze sono le migliori vitamine per la resistenza e la sopravvivenza del lavoro.
Secondo l’analisi del sottosegretario al Lavoro, Claudio Cominardi, un mercato sempre più florido non genera più ricchezza per il Paese e gli occupati. È una situazione di cui la politica deve prendere atto prevedendo e programmando soluzioni. Tra queste ha citato il Decreto dignità, uno dei primi e più importanti interventi del governo. E l’investimento di circa 2 mld l’anno per i centri per l’impiego.
Per Giuseppe De Rita, presidente Censis “il quadro italiano è a tinte fosche: non ci sono grandi collaborazioni collettive, gli imprenditori sono piccoli e isolati, ciascuno nel proprio campo, con la propria cultura e il proprio modo di essere. La proliferazione dei soggetti e la solitudine soggettiva hanno di fatto distrutto la regolazione data dai corpi intermedi. È questo il destino del nostro Paese? Come si affronta una dimensione sociale sempre più molecolare? Ci sono ancora spazi per la rappresentanza? Certamente occorre puntare sulla rappresentanza in filiera e sulle piattaforme di servizi spostate verso la dimensione industriale”.
Anche per Domenico De Masi è evidente che oggi si produce sempre di più e si lavora sempre di meno: “Tra 12 anni saremo 3 miliardi in più. Saremo capaci di creare posti di lavoro in più? È una domanda che, secondo me, non può avere una risposta positiva. Se aggiungiamo la considerazione che la vita media tenderà ad allungarsi, faremo meno figli e la tecnologia consentirà di sostituire sempre in maggior misura l’uomo, occorre fare una riflessione sulle trasformazioni che attendono il mondo del lavoro. L’ipotesi del futuro è produrre di più con meno lavoro umano, il che vuol dire avere più tempo per sé per una qualità di vita migliore”.
Per Giorgio Rembado, vicepresidente Cida, sindacato dei dirigenti pubblici e privati, “si deve fare rete, uniti contro i contratti pirata e l’infinita frammentazione dei sindacati”.
Le prime tappe di un lungo percorso